La questione nasce da una delibera che approvava una ripartizione di spese per interventi sul lastrico solare con libero accesso a tutti i condòmini.
La Corte di Appello di Messina, con interpretazione immune da vizi (logici e giuridici), ritenne la delibera assembleare titolo legittimo per la ripartizione delle spese relative al rifacimento della terrazza.
La corte territoriale ritenne dunque tale delibera titolo idoneo all’azione di ingiunzione.
Avverso tale pronuncia venne depositato ricorso in Cassazione.
Un nuovo indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte ha così affermato un diverso principio:
nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, allorché vi siano vizi, la validità della delibera (quale elemento costitutivo della domanda di pagamento) può essere sindacata dal giudice, con riferimento a:
- nullità della delibera assembleare posta a fondamento del decreto ingiuntivo,
- annullabilità della stessa delibera, a condizione, però, che quest’ultima sia dedotta in via di azione e non in via di eccezione (che va considerata inammissibile).
Il giudice dell’opposizione può dunque confermare il decreto ingiuntivo previa verifica della validità del titolo (la delibera assembleare), in modo tale da:
- accertare la sussistenza del presupposto necessario per la pronuncia di rigetto o di accoglimento della opposizione,
- mantenersi in linea col principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
Riguardo alle delibere dell’assemblea di condominio, la Suprema Corte ha chiarito anche la distinzione, per quelle aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, in:
- delibere che modificano i criteri (fissati in precedenza dal regolamento o previsti dalla legge) da valere per il futuro, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, in quanto la materia è sottratta al metodo maggioritario;
- delibere che, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135 c.c., ripartiscono le spese medesime con criteri episodicamente disattesi, che sono annullabili mediante impugnazione proposta nel termine di decadenza di trenta giorni.
La Corte capitolina ha colto l’occasione per rammentare anche le ipotesi di nullità delle delibere in via generale, di seguito elencate:
- assenza di uno degli elementi costitutivi essenziali (volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma scritta),
- oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume),
- impossibilità materiale dell’oggetto della deliberazione valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato,
- deliberazione che straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge, con oggetto giuridicamente impossibile e viziata da “difetto assoluto di attribuzioni” (con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea),
- incidenza sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini.
E ha altresì ricordato quando le delibere sono meramente annullabili:
- in presenza di vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea,
- se adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale,
- affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea,
- quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
Precisamente i “vizi di sostanza” determinano la nullità delle deliberazioni assembleari, i “vizi di forma” determinano invece l’annullabilità.
Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021